Non è possibile. Non deve essere
possibile. Non
pensare, non pensare, non impazzire. Il bambino non deve soffrire, non
deve piangere cercando inutilmente il suo latte. Tutta la vita ti resta
per piangere, per soffrire. Ma ora devi pensare a suo figlio.
Amore mio,
creatura, vita mia, non ti sono stata vicina
là, nella stanza dell'albergo, nella stanza della clinica,
quando
più avresti avuto bisogno di me. Solo sei stato: triste e
solo,
come dicevi scherzando quest'autunno, quando eri ammalato, che se io
lasciavo
un momento la camera, ti trovavo tornando, col tuo capo arruffato
nascosto
nel vano, tra i due cuscini, e mormoravi, fingendo di non vedermi
rientrare:
«Didi mi ha lasciato solo... sono qui solo... triste e
solo... »
E come sfavillavano i tuoi occhi quando ti venivo accanto e stringevo
il
tuo capo sul mio cuore. Non ti bastava, no, sapere che ero nella stanza
accanto, non ti bastava la coscienza sicura del mio amore. Mi volevi
vicina,
così com'ero, col mio sorriso, con le mie mani e le mie
labbra sulla
tua fronte: e che ti riaggiustassi i cuscini e che ti dessi lo
sciallino
e che ti stringessi sul cuore. E ora sei stato solo: quanto lungamente
mi avrà chiamata il tuo cuore: e io non sentivo, e io non
potevo
accorrere a darti pace con le mie carezze [...] A che è
valso, mai,
tanto amore, se non ha saputo riunirci in un attimo supremo? E' atroce
pensare che non ritornerai: ma più straziante,
più angosciosa
è per me la pena di questa tua tristezza che non ho potuto
dissipare.
Siamo stati sempre infinitamente vicini: quando eravamo divisi per
qualche
giorno (oh, pochi, pochi: e tu arrivavi sempre un giorno prima del
fissato!)
non vivevamo che nell'ansia di ritrovarci. Qualunque cosa avessimo
sentita,
pensato, operato in quei giorni, non ci pareva realtà,
finché
non ce lo eravamo narrato, finché non era più
soltanto mio
o tuo, ma era divenuto comune, nostro. Nulla era in noi di buono che
non
fosse nostro, ed ogni cosa, nel fatto stesso di esserci comune trovava
la sua bellezza e la sua verità. E ora - questa lacuna
orribile:
ignorare che cosa hai pensato nei giorni in cui mi fosti lontano. Non
è
giusto. Non è giusto. Tutta la tua vita è stata
mia - e questi
giorni - gli ultimi - i più gravi, i più sacri -
li debbo
per sempre ignorare. E non sapere se tu hai compreso. E non sapere se
mi
hai chiamata, se hai chiamato tuo figlio. Mio amore, mio amore tutta
questa
tenerezza che non ti ho potuta dare, che non ti potrò dare
mai più;
e che tu avrai cercata, vanamente. Perché tutto questo?
Perché?
Non lo posso accettare, non posso piegare la fronte. Perché
tu sei
la mia fede e non posso credere che il tuo cuore non palpiti
più.
Non sentirai il tuo bambino chiamarti «papà
», non lo
vedrai sorridere tendendoti le braccia. Ma almeno L'hai visto, ma
almeno
sapevi che c'era. E se hai compreso che morivi, certo ti è
apparso
come un dono di pace il pensiero di lui che continua la tua vita. Per
questo
forse lo hai amato con tanto commovente amore: ed eri geloso quasi del
suo respiro: e non avresti voluto che nessuno gli stesse vicino,
perché
te solo, te solo vedesse e ti potesse così ricordare. Oh, se
davvero
potesse ricordare il tuo volto! Ma ora egli è gaio, ignaro,
e sorride,
sorride.
Quando lo potrà comprendere,
gli insegnerò il tuo amore: gli insegnerò a
ritrovarti e
ad amarti in quanto ci sarà nella sua anima di buono, di
forte,
di alto.
Ma non è vero, non è
vero: tu ritornerai. Non so quando, non importa, non importa.
Ritornerai
e il tuo piccolo ti correrà incontro e
tu lo
solleverai tra le tue braccia. E io ti stringerò forte forte
e non
ti lascerò più partire, mai più.
È un vano
sogno, tutto questo, una prova a cui hai voluto pormi: tu mi vedi, mi
senti:
e io saprò mostrarmi degna del tuo amore. Quando ti
parrà
che la prova sia durata abbastanza, tornerai per non più
lasciarmi.
Saranno passati molti anni ma immutati splenderanno i tuoi occhi e
ritroverò
le espressioni di tenerezza della tua voce. Mio caro, mio piccolo mio
amore,
ti aspetterò sempre: ho bisogno di attenderti per vivere.
CDRC Coro drammatico Renato Condoleo
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